La notte del 5 novembre 2017, ventisei ragazze nigeriane arrivavano senza vita al porto di Salerno a bordo della nave militare spagnola Cantabria. Le vittime si trovavano su un barcone affondato in acque internazionali a largo delle coste libiche. Le vittime erano ragazze tra i 14 e 17 anni, sui loro corpi i segni delle violenze subite nelle carceri libiche. Un tragedia nella tragedia. Quella delle migliaia di giovani e giovanissime nigeriane che, ogni anno, finiscono nella rete della prostituzione in Italia. Provengono quasi tutte dalla stessa città, e molte non vi faranno ritorno.
Questo viaggio comincia – infatti – da Benin City, antica capitale del regno del Benin, uno degli imperi più potenti dell’Africa Occidentale che prosperò tra il XII e XIX secolo, dove dominavano finezza, eccellenza e ordine.
Oggi Benin è la tipica capitale Africana. Qui le fogne a cielo aperto, il traffico di okada (moto taxi) e la massa caotica di venditori di ogni genere di beni hanno cancellato gli splendori di un tempo. È una città in cui si vivono le contraddizioni dell’economia nigeriana. Uno dei paesi più ricchi dell’Africa grazie ai proventi del petrolio, all’agricoltura e agli investimenti stranieri, ma dove è sempre più alta la percentuale di persone che vivono in povertà. A Benin City, capitale culturale del popolo yoruba, ci sono poche strade asfaltate e le interruzioni di corrente sono all’ordine del giorno.
Questo viaggio terminerà sulle nostre strade, ai margini delle nostre città super illuminate, a 20 euro a prestazione, in balia del freddo dell’inverno europeo e delle fantasie dell’uomo bianco.
È tra questi due mondi che opera la mafia nigeriana, che la DIA descrive tra le più feroci e potenti organizzazioni criminali che operano sul nostro territorio.
Il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale (Protocollo di Palermo) del 2000 definisce la tratta di esseri umani come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza e l’ospitalità di persone, dietro minaccia di ricorso o ricorso alla forza o ad altre forme di costrizione, o tramite rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, o dietro pagamento o riscossione di somme di denaro o di altri vantaggi per ottenere il consenso di una persona esercitando su di essa la propria autorità, a scopo di sfruttamento.[…]Il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi usati di cui sopra è stato utilizzato.”
La mafia nigeriana ha sotto mano ogni singolo passaggio della tratta e tutto è scandito da tempi precisi e attori ben definiti.
Reclutamento
La promessa di cambiare vita, di uscire dalla povertà, di poter aiutare economicamente la propria famiglia, i propri figli, permettergli di avere cure mediche, istruzione, una casa, un futuro, sono la molla su cui fa leva il reclutamento di queste donne giovanissime. Non sanno quello che andranno a fare, lo scopriranno lungo il viaggio. Accettare comporta però un indebitamento da parte di queste ragazze che al momento si aggira sui 35.000 euro. Le ragazze, non riuscendo a fare la conversione in naira, non si rendono conto di quale montagna di soldi dovranno restituire.
Il secondo momento è il rito. L’importanza del rito vodoo ormai non è sottovalutata neanche dalla giurisprudenza. È un meccanismo di controllo pericoloso ed efficace nelle mani dei trafficanti. A livello mentale ed emotivo è un impegno importante e la simbologia usata è molto pesante: le unghie, i peli pubici, il sangue mestruale. Mentre il native doctorrecita formule magiche, la ragazza promette che mai parlerà della persona che le ha portate in Europa e che le ha fatto “il dono” e si impegnano a restituire fino all’ultimo centesimo del loro debito.
Il viaggio
Fino agli anni ‘90, queste ragazze entravano in Italia con documenti falsi e un biglietto aereo da Lagos a Milano o Roma, viaggiavano accompagnate da un membro dell’organizzazione criminale che le avrebbe messe in contatto con la madam.
Oggi, le nuove leggi in materia di immigrazione che si sono susseguite negli anni hanno di fatto chiuso ogni possibilità di entrare nel nostro paese in maniera regolare e le ragazze nigeriane subiscono un percorso migratorio molto più lungo, difficile e pericoloso. La mafia nigeriana si è adattata al contesto sfruttando le stesse rotte migratorie di chi fugge da guerra e miseria. Come tutte le organizzazioni criminali strutturate riesce infatti a raggirare il sistema a proprio vantaggio, sfruttandone falle e debolezze.
Le ragazze di Benin City raggiungono quindi il nord della Nigeria, arrivano a Kano e da lì partono attraverso il Niger, dove già subiranno i primi abusi di gruppo da parte delle truppe che si trovano nel deserto.
Arrivano poi in Libia dove verranno carcerate dentro le connection house, nelle quali subiscono violenze di ogni tipo e vengono prostituite dai connection man che di solito sono connazionali.
Quando il connection man decide che è arrivato il momento o ci sono nuove arrivate e la casa si riempie troppo, alcune ragazze sono lasciate partire con la barca, previo pagamento di una somma di denaro. Affrontano il mare e arrivano in Italia come richiedenti protezione internazionale.
Nell’ultima fase in connection house ricevono il numero da contattare una volta che saranno in Italia. Una volta arrivate e accolte nel centro d’accoglienza a disposizione, chiamano questo numero dicendo “sono arrivata” e a questo punto le organizzazioni criminali hanno due modalità differenti di azione.
In Italia
Alcuni gruppi criminali ordinano alla donna di rimanere nel centro di accoglienza fino all’ottenimento del permesso di soggiorno. Tipicamente vengono fatte prostituire nel fine settimana quando gli operatori del centro non ci sono, oppure siccome le prefetture chiedono agli enti gestori di controllare che le persone siano a casa la notte, queste organizzazioni criminali fanno sì che le donne inizino a prostituirsi nei centri cittadini di mattina e di pomeriggio. In questo caso le ragazze lo fanno camminando, non stando ferme come tipicamente avviene di notte.
Le organizzazioni più radicate sul territorio riescono invece ad avvalersi della collaborazione di legali e quindi fanno uscire le ragazze dal centro di accoglienza promettendo che le pratiche per il permesso di soggiorno verranno seguite dall’avvocato che è pagato per il suo lavoro.
Le ragazze vanno quindi a vivere in appartamenti privati in affitto. C’è l’inversione completa giorno-notte perché le ragazze che sono prostituite con questa modalità lavorano dalle ultime ore del pomeriggio per tutta la notte mentre per tutta la durata del giorno dormono.
C’è l’inversione completa dei ritmi biologici che causa non pochi problemi alla salute fisica e mentale di queste ragazze.
Free Woman è una associazione di Ancona che lotta contro la tratta ai fini di sfruttamento sessuale. Giulia Atipaldi, assistente sociale e responsabile del settore Emersione, ci spiega come si svolge il traffico di queste ragazze e quanto forte è il legame di soggiogazione con i propri sfruttatori.
“In Nigeria chi ha denaro può acquistare poliziotti corrotti e picchiatori. Il pericolo che le minacce sulla famiglia si possano compiere è concreto. Chi ha reclutato la ragazza sa esattamente dove vivono i suoi familiari ed è in contatto con la madam in Italia.
Se la ragazza non paga, questo si palesa. La mamma telefona: ci hanno minacciato, hanno fatto sparire tuo fratello. Non mandano più i bambini a scuola perché hanno paura che li prendano. Queste minacce tengono le donne in strada.”
In più c’è il rito e la paura che la maledizione juju si possa compiere è assolutamente reale. “Ci sono donne che hanno perso l’uso delle gambe perché convinte che il rito avesse fatto effetto: non c’erano motivi neurologici perché le gambe non si potessero muovere, ma solo quando la polizia ha detto che erano stati bruciati i feticci perché la madam era stata arrestata la donna ha ripreso a camminare.”
L’autosuggestione è fortissima. Una nostra ospite che aveva denunciato i propri sfruttatori era fidanzata con un beneficiario di un altro ente gestore che morì in seguito ad un malore, in seguito a questo evento lei tenta il suicidio e viene ricoverata in psichiatria.
Siccome la promessa del rito è: ”Se non lo rispetterai, tu impazzirai e i tuoi cari moriranno” di fatto il rito si era compiuto: chi ami morirà e tu diventerai matta. Questo ha creato un’onda emotiva importante in tutta la comunità nigeriana e per tanto tempo non abbiamo più avuto ragazze che volessero denunciare. Sono corde importanti quelle che le tengono legate. Non si vedono ma sono fortissime.”
Molto importante è anche il ruolo della comunità nigeriana in Italia: chi ordina alle ragazze di uscire dai centri di accoglienza o chi ordina di rimanervi e poi le accompagna ad inviare il denaro a casa, sono persone che fisicamente vivono intorno a loro. “Riescono persino a controllarle nei centri di accoglienza, vanno ad importunare queste ragazze e ne hanno il controllo.”
Il peso delle enormi aspettative familiari, inoltre, fa sì che queste ragazze siano ancora più fragili e sfruttabili. “Una parte di loro rimane in Nigeria, sempre collegata con la famiglia e la terra che hanno lasciato, perché sono qui per far star bene lì.
Non riescono ad essere presenti a se stesse qui in Italia. Tipicamente chi gestisce le strutture di accoglienza dice “ma sono 2 anni che sei qui, possibile che non parli ancora italiano?” Non imparano l’italiano perché loro non riescono a far lavorare la loro mente sul presente, sul qui ed ora perché con la mente e i pensieri sono rimaste in Nigeria. Nel 97% dei casi le ragazze non hanno il coraggio di raccontare cosa è accaduto durante il viaggio e il lavoro che fanno in Italia.”
La strada
“Ci rivolgiamo a tutte le persone che troviamo lungo le strade del segmento sul quale interveniamo, da Falconara Marittima a Marotta. Prostitute e prostituite. Offriamo accompagnamenti sanitari e legali, diffondiamo informazioni sulla sicurezza in strada. Il nostro punto di vista è di riconoscere quel segmento della vita e vedere che quelle persone in quel momento stanno lavorando.
Abbiamo scelto di non proporci falsi moralismi, piuttosto stai in strada facendo attenzione a te stessa: non salire in macchina se c’è più di una persona a bordo perché potrebbero usarti violenza e non riuscire a difenderti, non salire in macchina se la persona che hai di fronte è in stato alterato, scegli tu il luogo dove andare in macchina.”
Di violenza in strada ce n’è moltissima. E nei casi di violenza più pesante quando si può arrivare alla morte a queste ragazze nessuno le cerca: gli enti anti tratta direbbero che è chiuso il programma, la questura che non si trova più la ragazza, l’ente gestore la toglie dal report, ma nessuno la cerca.
Di fatto salvo che non si trovi un corpo, non si accorge nessuno. “Per noi è importante insegnargli delle cose su come proteggersi, insegnargli l’uso del condom perché anche se i nuovi infetti di HIV, epatite C e sifilide aumentano in maniera considerevole ogni anno, ogni sera viene chiesto alle donne di avere rapporti senza condom.”
Inoltre le ordinanze che multano il cliente fanno sì che la contrattazione sia sempre più veloce. Il cliente ha paura perché quello è il momento in cui può essere beccato, quindi le ragazze si trovano a contrattare l’utilizzo del preservativo soltanto una volta appartate. “Una ragazza di 19 anni da sola con un uomo in macchina contratta poco.
Rispetto a questo le nostre trans hanno una marcia in più. Perché hanno una fisicità tale che le permette di difendersi e sul nostro territorio sono anche più avanti di età e quindi più consapevoli di certe tematiche sanitarie e sono le prime a rifiutare rapporti non protetti. Sanno a cosa vanno incontro, la giovane ragazza nigeriana molto meno”.
Oltre a questa attività che si chiama riduzione del danno, Free Woman offre accompagnamenti sanitari anche per l’interruzione volontaria di gravidanza.
“Altra piaga è l’uso di farmaci che stimolano l’emorragia per far perdere le gravidanze abbiamo scoperto che addirittura alcuni sfruttatori facevano prendere questi medicinali una volta al mese, in particolare a due minori che poi siamo riusciti ad allontanare, per scongiurare gravidanze.”
La parte più complicata del lavoro delle unità di strada è riuscire a costruire un rapporto di fiducia con le vittime.
“Chiediamo fiducia a delle persone alle quali è stata tradita continuamente. Dai genitori che hanno raccontato una cosa rispetto al viaggio che non era vera. Dagli sfruttatori avevano promesso una cosa rispetto al lavoro che avrebbero svolto in Europa e non era vero niente, rispetto alla prospettiva di vita che pensavano di avere in Europa e che avevano immaginato attraverso internet, film Youtube. Vivono ai margini, hanno anche una bassa considerazione di se stesse.
Quello che possiamo fare noi è esserci, senza pretese, dare loro una serie di informazioni a cui possono attingere e poi nella totale libertà lasciarle libere di chiamarci, quando lo vorranno, per chiederci aiuto.
Esserci durante un’interruzione volontaria di gravidanza o alla prima diagnosi di sieropositività crea in loro un ricordo tale da poter richiamare gli operatori la sera in cui si è presa una quantità tale di botte e forse si vuole andare al pronto soccorso, o il disprezzo è stato così profondo che allora la ragazza è stanca dei soprusi e di restituire i soldi. Noi ci inseriamo prima nei loro pensieri e poi nei fatti.”
I clienti
La sex worker c’è e ci sarà sempre. Ha una funzione sociale. C’è tutta una serie di persone che non accede all’affettività e alla sessualità in altra maniera. Educazione, informazione, formazione e sensibilizzazione andrebbero svolte su più piani. Manca un’educazione alla sessualità vera e sana.
“Si è tornati ad avere dei tabù degni di 40 anni fa. Non si parla di certe cose e i ragazzini fanno da sé. Non si educa all’affettività e manca una campagna di informazione seria rispetto alle malattie sessualmente trasmissibili.
Non ci interessa puntare il dito contro i clienti, ma è importante analizzare “come” sono clienti: quanto spesso chiedono rapporti senza condom, cosa chiedono alle ragazze e chi pensano che siano quelle ragazze. Non è contemplato dai clienti che le ragazze non sono prostitute ma prostituite, che esiste un traffico di esseri umani di cui sono vittime.
Il fatto che un cliente non si ponga neanche il problema che la ragazza che ha di fronte possa essere minorenne è un problema grave.
Bisognerebbe mettere le persone a conoscenza della realtà, già dalle scuole. Noi ci proviamo ma spesso incontriamo dirigenti scolastici che ci impediscono di lasciare preservativi in classi con ragazzi di 17 anni. I sessantenni sono ancora meno informati sulle malattie sessualmente trasmissibili, si sentono immuni.”
Il percorso antitratta
In Italia, così come negli altri Paesi dell’Unione Europea, i meccanismi per garantire l’assistenza alle vittime di tratta sono stati introdotti nelle norme di natura penale (artt. 600-601 codice penale) – per quel che concerne il contrasto al crimine e la tutela delle vittime nell’ambito delle indagini e del procedimento penale – e nelle norme in materia d’immigrazione (art.18 TUI) che, in linea con le disposizioni di carattere internazionale ed europeo, hanno introdotto la possibilità di riconoscere alle vittime stesse un permesso di soggiorno per motivi umanitari o di “protezione sociale” per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale.
“Quando una ragazza vuole uscire dallo sfruttamento la accogliamo temporaneamente in una nostra struttura di emergenza ad indirizzo segreto dalla quale la donna non può uscire. A quel punto avvisiamo squadra mobile e ufficio immigrazione della questura avvisando che questa ragazza è accolta presso la nostra struttura e che vorrà probabilmente denunciare.
La lasciamo tranquilla e un po’ alla volta raccogliamo la sua storia per andare a fondo e per capire bene la sua condizione poi attiviamo un servizio per fornirle un supporto psicologico e legale.
Nel frattempo lavoriamo con gli enti antitratta di tutto il territorio nazionale per cercare un posto di accoglienza sicuro per la ragazza che poi verrà trasferita.
” Ogni ente anti tratta promuove corsi di formazione, tirocini e inserimenti lavorativi veri e propri, anche se – dice Giulia – le risorse sono molto limitate “lavoriamo con progetti di 15 mesi. Si pensa molto alla parte dell’accoglienza e meno all’effettivo inserimento nella società.
Mentre un’integrazione reale attraverso la possibilità di svolgere corsi di formazione o tirocini di inserimento lavorativo potrebbe rappresentare per queste ragazze un forte appeal alla fuoriuscita dal racket.”
Il Piano Nazionale Antitratta stila una lista molto corposa di indicatori come la durata del viaggio, il tipo di persone che girano attorno alle ragazze, il momento da cui la ragazza inizia a raccontare la storia, ma fondamentale per notare certi atteggiamenti è l’esperienza sul campo.
“Nella pratica posso dire che tristemente il 99.9% delle giovani donne nigeriane sono trafficate proprio perché vengono da lì e per quanto è difficile quel viaggio, qualcuno lo deve aver organizzato. Sicuramente sono state portate ai confini e con buone probabilità sono entrate in Europa con il fine di essere sfruttate.
Ultimamente attraverso alcune donne che ci hanno raccontato delle storie più autentiche rispetto a quelle che solitamente ascoltiamo, capita che ci sono sedicenti mariti di nazionalità questa volta ghanese (come se essere del Ghana mettesse al riparo dall’essere un potenziale controllore o sfruttatore), che chiedono il ricongiungimento per controllare a vista la donna.
In questo senso è fondamentale il ruolo delle mediatrici, che grazie ad una buona esperienza e professionalità possono essere molto d’aiuto ad ottenere un racconto autentico che ci possa indicare quali sono i nuovi trend della criminalità, che è sempre molto agile riuscendo velocemente ad adattarsi ai nuovi contesti.
Nuova vita
“Le prime ragazze che ho conosciuto in casa d’accoglienza (io lavoro qui da 12 anni) hanno avuto una resilienza incredibile, sono delle persone che hanno oggi ottenuto degli ottimi contratti di lavoro e hanno famiglie e una vita assolutamente stabile in Italia e in alcuni casi sono diventate mediatrici di successo.
Sono donne con una resilienza strabiliante. Il più equilibrato tessuto mentale può andare a farsi friggere solo con la metà di quello che subisce una nigeriana vittima di traffico.”
Scritto da: Nicola Mariani