Chi segue il settore della musica applicata alle immagini di certo non potrà non considerare Ennio Morricone un genio, un caposcuola, un rivoluzionario.

Dopo il suo esordio nel cinema, quasi tutti i generi vengono completamente ricodificati dalle sue partiture. Le sue intuizioni sono seguite da decine, forse centinaia, di imitatori, anche tra i più qualificati, che ne consacrano il valore musicale e la funzionalità con le immagini. Nonostante i suoi interessi per la “musica colta contemporanea” altro settore dove il maestro ha lasciato il segno, è osannato da jazzisti e da stelle del rock di tutto il mondo: Bruce Springsteen, Mark Knopfler, Quincy Jones, i Metallica e tanti altri lo considerano un punto di riferimento.

Dopo il 2000 inizia una lunga serie di concerti che lo portano a girare tutte le più importanti città italiane e capitali mondiali, riscuotendo ogni volta grande successo. Ancora oggi è al lavoro per la realizzazione di musiche di film e di nuove fiction televisive.

Ha venduto milioni di dischi e ricevuto svariati premi. Uno su tutti, l’Oscar alla Carriera nel 2007. Ha di recente vinto il David di Donatello per il film di Tornatore “La migliore offerta” e nonostante gli impegni, continua con attenzione e passione a seguire il suo sport preferito: il calcio.

Oltre ad aver impegnato tutta la sua vita nel mondo della musica, sappiamo che ama molto anche alcuni sport tra cui il calcio e il gioco degli scacchi.  Può esistere, secondo lei, un punto di contatto tra lo sport e la musica?

«Direi che c’è poco contatto tra lo sport e la musica.  La musica ha più contatti con il mondo dei numeri.  Pitagora scoprì la connessione delle vibrazioni di una corda nell’aria con il suono.  Ad esempio il suono “uno” ha una certa quantità di vibrazioni.  Il suono “due” ne ha la metà, poi il numero “quattro” ha un quarto delle vibrazioni e così via.   Quindi c’è una relazione matematica.   Certamente il gioco degli scacchi è vicino alla matematica: il valore dei pezzi, i loro movimenti,  i numeri delle caselle di una scacchiera sono combinazioni di numeri. Il gioco del calcio potrebbe avere simili analogie ma non le trovo così vicine né agli scacchi né alla musica». 

Maestro, lei stimò molto l’allenatore Eriksson che guidò la Roma negli anni Ottanta.  Forse gli schemi molto studiati di questo allenatore avevano qualcosa in comune con il gioco degli scacchi? 

«Eriksson mi piaceva come allenatore e solo per sfortuna non vinse lo scudetto anni fa.  Ricordo la mia delusione mentre ero a Londra per lavoro quando la Roma perse una partita decisiva in casa con il Lecce.  Non saprei dire se Eriksson avesse degli schemi studiati con la matematica o con il gioco degli scacchi, però analogie tra i movimenti dei giocatori nel campo e i movimenti dei pezzi su una scacchiera potrebbero talvolta somigliarsi. Ma sinceramente non avevo mai pensato a questo». 

Ennio Morricone, Roma e “la” Roma.  Come vive  il suo rapporto con la sua città e la sua squadra? 

«Sono anni che, purtroppo, la squadra della Roma non va molto bene e sono dispiaciuto di questo.  Con i giocatori che ha e la forza che ha, unitamente ai risultati ottenuti nei primi tempi e spesso buttati al vento nel secondo tempo, poteva tranquillamente arrivare al terzo posto.  Anche con Zeman. Poi la difesa ha fatto acqua e i portieri hanno commesso degli errori.  Ad esempio Lobont, nella finale di Coppa Italia, ha letteralmente regalato la palla all’attaccante avversario.  Diciamo che quella partita è stata meritatamente vinta dalla Lazio ma la Roma non meritava di perderla. Per quello che riguarda la città di Roma devo dire che è la mia città e mi piace tantissimo.  Sono stato invitato due volte a stabilirmi negli Stati Uniti ma ho sempre rifiutato perché preferisco vivere in questa città che amo moltissimo». 

Che ne pensa degli arbitri italiani e internazionali? 

«Senza dubbio sono bravi e lo riconosco senza problemi.  Poi, è chiaro, stiamo parlando di un mestiere molto difficile dove, in un decimo di secondo, si deve prendere una decisione e quindi possono nascere delle difficoltà che possono sfociare in errori, nonostante la presenza di giudici di linea, dei giudici di porta…  Errori possono esserci sempre ma in ogni caso devo dire che gli arbitri sono bravi, onesti e hanno tecnica». 

E del possibile uso di nuove tecnologie nel mondo del calcio? 

«Si rischierebbe di portare una partita a 120 minuti e oltre.  Ci vuole tempo per riguardare immagini o verificare situazioni incerte.  Si perderebbe troppo tempo.  Secondo me gli errori ci sono sia da parte dei giocatori sia da parte degli arbitri.  A mio avviso, talvolta c’è il pericolo psicologico che un arbitro, nell’incertezza di una decisione, possa poi propendere a favore della squadra più accreditata in classifica.  Questo è un argomento delicatissimo che, comunque, non intacca la buona fede». 

Una volta raccontò di essersi cimentato come arbitro in una partita amichevole. Ci può dire qualcosa di questa curiosa esperienza? 

«È vero.  Una volta fui chiamato ad arbitrare una partita tra il Campaegli contro il Cervara di Roma.  Venivo continuamente accusato dai giocatori di entrambe le squadre di non vedere i falli e di non fischiare mai. Per me era tutto regolare, ma loro continuavano: “Arbitro, quando fischi?” oppure “ma qui devi fischiare, è fallo!”.   Alla fine del primo tempo me ne andai ma in quell’occasione mi resi conto che il mestiere dell’arbitro è di una difficoltà enorme.  Ci vuole una concentrazione fortissima».

Tra i tantissimi film da lei musicati ne abbiamo trovati alcuni ambientati nel mondo dello sport.  Primo fra tutti “Idoli controluce” una specie di biografia del calciatore Omar Sivori.  Ma anche un documentario sulle Olimpiadi dal titolo “Invito allo sport” e anche uno sui fratelli Abbagnale, un altro su Bartali e, ancora più recentemente, una fiction televisiva sul mondo del nuoto dal titolo “Come un delfino”.  Ricorda qualche aneddoto di queste esperienze? 

«In questo genere di film biografici c’è sempre un qualcosa di epico.  Ad esempio dalla fiction Bartali ricordo il mio impegno nel descrivere musicalmente lo sforzo del ciclista e la sua fatica nello spingere sui pedali. Quindi cercai di dare alla musica un senso di epica sofferenza».

Se fosse lei a dover designare una piccola rosa di nomi, tra gli arbitri in attività, per una finale importante, chi sceglierebbe?   

«I nostri italiani sono tutti talmente bravi che non riuscirei a sopportare il peso dell’escludere qualcuno in particolare». 

A fine secolo, periodo in cui andava di moda tirare bilanci, qualcuno lo definì il compositore europeo più significativo del dopoguerra. Una trasmissione televisiva, dopo un sondaggio, classificò Verdi, Puccini e Morricone come i musicisti italiani più popolari al mondo.

Il resto è Musica.

Intervista di Michelangelo Cardinaletti, pubblicata sul numero 4/2013 della rivista "L'Arbitro"