Ilaria Cucchi sarà a Senigallia il prossimo 14 settembre per accompagnare il film “Sulla mia pelle” sugli ultimi giorni di vita del fratello Stefano, morto in carcere. In attesa della proiezione al cinema “Gabbiano”, la nostra redazione ha avuto l’opportunità di intervistarla in collaborazione con il settimanale diocesano “La Voce Misena” e Radio Duomo Senigallia.
Il vostro avvocato, Fabio Anselmo ha più volte spiegato che far diventare il caso Cucchi, un caso mediatico l’abbia aiutato ad arrivare nelle aule di giustizia. Qual è l’obiettivo del film?
L’impatto mediatico è fondamentale ma è anche drammatico. Costringe /le famiglie a mettersi in prima linea e a rendere pubblica quella sofferenza che dovrebbe restare nel chiuso dei propri affetti. Queste vicende sarebbero altrimenti ridotte a casi giudiziari e quindi spersonalizzate.
Ci si ritrova da soli a sfidare uno Stato che improvvisamente non solo ti volta le spalle ma diventa il peggior nemico nelle aule di giustizia. Raccontare queste storie aiuta a svegliare le coscienze e soprattutto toglie noi dall’isolamento.
Da quel 22 ottobre sei sempre stata molto attiva per tentare di fare chiarezza su questa vicenda.
Lo sto facendo perché questo era indispensabile. Se così non fosse stato oggi non ci sarebbe questo nuovo processo e tutto si sarebbe chiuso dopo sei anni con quell’assoluzione per insufficienza di prove o sarebbe finita subito con un’archiviazione, come ci disse Fabio Anselmo la prima volta che ci incontrò. Oggi so che aveva ragione. Come aveva ragione quando mi consigliò di scattare quelle foto. Mi sembrò una cosa orribile. Ma chiunque ha avuto il coraggio di guardare quelle foto ha capito chiaramente che mio fratello era stato massacrato di botte.
Il film consentirà di far riflettere su una tematica delicata come quella che ha riguardato la tua famiglia e tuo fratello in particolare.
Questo film racconta la drammatica verità di quello che è successo a Stefano. Una storia di violazione dei diritti umani di un cittadino che era detenuto e che è morto lentamente di dolore, nel disinteresse generale delle persone che erano con lui. Quelle persone erano dei pubblici ufficiali che avevano il dovere per il ruolo che investivano di denunciare. Invece hanno ritenuto di fare tutt’altro, pensando, come una di queste ha dichiarato, che ognuno “doveva stare al suo posto”.
Alessandro Borghi, l’attore che ha interpretato Stefano ha detto di essersi completamente immedesimato nella parte. Che effetto ti ha fatto rivedere tuo fratello nella persona dell’attore che lo interpretava?
Una cosa che non potrò mai sapere è come Stefano emotivamente e spiritualmente ha vissuto i giorni che lo portavano a morire come un cane. Con questa interpretazione, Borghi mi restituisce un po’ di Stefano. È talmente uguale a lui nei modi di fare e di parlare che riesce a trasmettere quella sofferenza. La prima volta che ho visto il film avevo la pelle d’oca oltre che le lacrime. Il merito è anche del regista Alessio Cremonini. Ho apprezzato molto il fatto che lui abbia tenuto a conoscerci prima di scrivere una storia così delicata.
Cos’altro hai apprezzato del film?
Che non risparmia Stefano su nulla. Non era un santo e non lo abbiamo mai negato. Sono stata la sua peggior nemica sia in vita che da morto. Ma nulla può giustificare ciò che ha dovuto subire in quei sette giorni dove ogni suo diritto è stato ignorato e calpestato e quello che è successo l’istante dopo la sua morte. Mi riferisco al fatto di sminuire l’accaduto e sostenere che se l’era cercata.
Chi era Stefano Cucchi, prima di subire quello che gli è capitato?
Era un ragazzo splendido. Aveva sempre un pensiero per gli altri ancora prima di pensare a se stesso. Aveva un trascorso di tossicodipendenza ma anche nei momenti più drammatici il suo pensiero era per me. Mi diceva sempre “Ila ma tu sei felice?” Non era perfetto, ma sicuramente Stefano era una persona bella. Non meritava, come nessuno, di finire in quella maniera e di soffrire così tanto. Di Stefano ce ne sono tanti, di cui nessuno sentirà mai parlare. Questo film lo voglio dedicare a tutti coloro che tramite ogni nostro piccolo passo in avanti riescono a trarre una speranza di potercela fare.
Intervista curata da Fabrizio Ricciardi, Claudia Giacomini e Nicola Mariani