Che cosa è la Resistenza? Che significato ha il Giorno della Liberazione oggi? E cosa è accaduto il 25 aprile del 1945? Se noi immaginassimo di chiedere ad amici, conoscenti, semplici passanti in strada o sconosciuti avventori di un bar – risparmiamoci, almeno per lo cose serie, il mondo virtuale dei (non)social – a parer nostro siamo sicuri che solo una minoranza delle persone interpellate saprebbe darci una risposta ragionata o sentita: la maggioranza si barcamenerebbe, in varie gradazioni, tra la banalità, l’indifferenza e l’ignoranza; e siamo altresì sicuri che non un’esigua parte accoglierebbe questa domanda con sospetto e rancore, se non con aperta ostilità, imbastendoci magari una filippica, se andasse bene, dai toni «il 25 aprile è roba passata», o «fascismo e comunismo uguali sono»  o, se andasse male, «i partigiani erano ladri e assassini», «il 25 aprile è da comunisti», «e allora le foibe?», «però il Duce ha fatto anche cose buone» e altre amenità simili.

A costoro, senza dilungarci troppo perché, come scrisse Antonio Gramsci, qualche volta «è meglio essere ingiusti che provare di nuovo uno schifo che fa vomitare», vogliamo ricordare la risposta che Pietro Calamandrei diede al Alber Kesselring nel 1953.

Kesselring, feldmaresciallo del Reich, dal 1943 fu comandante supremo delle forze tedesche in Italia e, con i suoi ordini, fu responsabile di svariati crimini di guerra sia contro il movimento partigiano sia contro l’inerme popolazione civile italiana. Catturato alla fine della guerra, nel 1947 fu processato a Mestre da un tribunale militare britannico e condannato a morte per la responsabilità nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine e per aver consentito per tutta la durata del conflitto feroci rappresaglie contro partigiani, civili e prigionieri (bandi Kesselring del 1944).

Detenuto nella Germania Ovest, nel 1948, anche grazie all’intercessione del generale britannico Alexander, la pena fu commutata in ventuno anni di carcere, ma nel 1952 Kesselring venne rilasciato per motivi di salute (morì otto anni dopo…), senza aver mai rinnegato né il nazionalsocialismo, né la sua fedeltà a Hitler né le sue azioni, anzi, ebbe a dichiarare «che non aveva nulla da rimproverarsi e che anzi gli Italiani gli avrebbero dovuto dedicargli un monumento per il suo operato sul suolo italiano nella salvaguardia delle città d’arte».

Basterebbe questa frase a qualificare tale personaggio e suoi ignoranti seguaci odierni, ma siccome la sveltezza di pensiero non è un dono diffuso tra costoro, vogliamo ricordargli le parole che Pietro Calamandrei, antifascista e padre fondatore della Repubblica Italiana, scrisse al «camerata Kesselring», parole dure, parole di pietra, parole che ogni fascista e antifascista di oggi dovrebbe tenere ben a memoria.

 

«Lo avrai

camerata Kesselring

il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

a deciderlo tocca a noi.

 

Non coi sassi affumicati

dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio

non colla terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti

riposano in serenità

non colla neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono

non colla primavera di queste valli

che ti videro fuggire.

 

Ma soltanto col silenzio dei torturati

più duro d’ogni macigno

soltanto con la roccia di questo patto

giurato fra uomini liberi

che volontari si adunarono

per dignità e non per odio

decisi a riscattare

la vergogna e il terrore del mondo.

 

Su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama

ora e sempre

RESISTENZA»

 

Autore: Giorgio Godi